Scattare fotografie senza poterne vedere subito il risultato è un vero incubo per molti possessori di giocattoli digitali del nostro tempo, un dramma per chi è stato “salvato” dal digitale negli anni duemila.
Eppure per oltre un secolo è stato così, con la sperimentazione e la perseveranza si ottenevano risultati ripetibili, una fotografia era frutto della pratica assidua nel misterioso mestiere del fotografo.
Oggi gli utilizzatori della fotografia analogica sono una parte non grande, ma ben presente ed in leggera crescita nel mercato globale, tra questi abbiamo professionisti, esperti sperimentatori e chi è alle prime armi ed ha un sacco di cose da imparare.
E’ curioso come nella fotografia tradizionale si celino misteri che ancora non sono stati rivelati, la materia è talmente vasta e per certi versi sconosciuta, che vi è ancora spazio per fare scoperte, inventare qualcosa di nuovo, trovare strade mai percorse prima.
Una delle motivazioni fondamentali per cui personalmente ancora la prediligo.
Tra i punti fermi che garantiscono risultati costanti nella fotografia tradizionale, vi è la perfetta conoscenza dei materiali fotosensibili e delle attrezzature che si usano.
Così come il pittore e lo scultore hanno necessità di comprendere fino in fondo la costituzione della materia utilizzata e gli utensili del proprio lavoro, anche il fotografo deve conoscere ogni caratteristica dei “ferri del mestiere”.
La fotocamera e la pellicola non devono avere segreti, ogni minimo dettaglio operativo deve essere perfettamente sotto controllo, altrimenti il risultato è lasciato al caso, abbandonato a se stesso, non replicabile.
Inoltre senza testare una pellicola per conoscerne pregi, difetti, sensibilità reale ed altre caratteristiche importanti, non potremmo mai sfruttarla al massimo delle sue qualità e le nostre immagini soffriranno della tecnica della metodologia probabilistica, che ha come motto l’espressione idiomatica “nel mucchio qualcosa esce“.
In questi casi è la fotocamera a portare a spasso il fotografo.
In relazione alle prove pellicola, la rete internet brulica di contenuti analogici scientifici traducibili nella formula matematica “a me è uscita così“, metodo operativo adottato da molti esperti della prima ed ultima ora.
Molto contraddittori anche dati su tempi e diluizioni di sviluppo forniti da siti specifici e case produttrici di chimiche e pellicole.
Esiste un solo metodo che garantisce un accurato test pellicola per definirne le caratteristiche di sensibilità reale e corretto tempo di sviluppo.
Il risultato del test pellicola dipende in parte anche dalla chimica usata nella fase di sviluppo, che può creare delle leggere variazioni in base alla composizione e quindi in relazione alla marca di rivelatore usato.
Le basi per un test pellicola accurato arrivano dalle intuizioni di Ansel Adams alla fine degli anni trenta del 1900, il suo Sistema Zonale rappresenta la massima applicazione scientifica nella traduzione della luce in fotografia, un capitale inestimabile, testamento donato all’ umanità.
Ma cosa dice il Sistema Zonale?
E’ una tecnica utilizzata in fotografia per determinare l’esposizione ed il procedimento di sviluppo ottimali, in modo da ottenere un risultato matematicamente controllato di tutti i contrasti e tonalità di una determinata scena.
Dal punto di vista concettuale, è la traduzione materiale di una visione nella mente, che ha tutte le caratteristiche della realtà, ma vive dell’atmosfera desiderata dal fotografo.
Tutta la struttura del Sistema viene decisa dal fotografo prima di eseguire lo scatto, con l’esposizione, tipo di sviluppo, tempi, diluizione e tutti gli accorgimenti necessari al raggiungimento della propria visione, egli determina le caratteristiche della fotografia ancor prima di fare clic.
Dal punto di vista visivo, la scala tonale è composta di più parti separate dette “zone“, che vanno dal bianco puro al nero assoluto, ciascuna di queste zone rappresenta un determinato tono di grigio.
Questa suddivisione è meramente teorica, perché la pellicola registra la luce in scala tonale continua. La suddivisione in dieci zone più il nero, serve a rendere riconoscibili le differenze di contrasto nette, tra le quali vi è uno STOP di differenza.
Questo significa che tra una zona “V” e una zona “IV” vi è uno STOP di differenza, la zona IV è più scura della V di uno stop, la zona VI è più chiara della ZONA V di uno stop e così via per tutte le altre zone della scala.
Il punto fermo del Sistema Zonale è la Zona V, la quale è la risultante assoluta della misurazione esposimetrica diretta, infatti qualsiasi lettura con l’esposimetro dà come risultato la ZONA V nel punto preciso dove avviene la lettura, in quanto tutti gli esposimetri esistenti al mondo sono tarati secondo il grigio medio Kodak con riflettanza del 18%.
Dal punto di vista operativo si potrebbe aggiungere che è un concetto non teorizzabile, ma va acquisito in camera oscura con il libro e la tank tra le mani, per questo è in assoluto uno degli argomenti trattati più erroneamente nella storia della fotografia, da fotografi a blogger, riviste, collane fotografiche, testi stampati, amici che sviluppano in casa, fotoamatori con la tessera gold, circoli fotografici iscritti al programma spaziale della NASA…
Come si può testare una pellicola per avere un’ idea di cosa stiamo facendo??
Innanzitutto è necessario stabilire la sensibilità reale, che non è quella scritta sulla confezione e probabilmente neanche quella trovata navigando in internet.
Ma che cos’è la sensibilità?
E’ la capacità di una pellicola di registrare dettagli nelle ombre, ovvero le parti più scure in una stampa, niente di più e niente di meno.
La sensibilità viene stabilita dal test attraverso una serie di scatti ad una superficie completamente omogenea e senza dettagli, ad esempio un muro, variando la sensibilità impostata sulla fotocamera e aiutandoci con il sistema zonale.
Il test ha come obbiettivo la ricerca della densità minima registrabile, la quale è definita ZONA I nel sistema zonale e corrisponde in stampa alla parte più scura con dettaglio stampabile.
In questa operazione va segnato ogni appunto in relazione al numero fotogramma e alle diverse sensibilità impostate, in modo tale che si possa risalire con certezza alla sensibilità reale del film.
Fatto il test, avremo un negativo molto simile a questo:
Per avere una mappa completa delle caratteristiche della pellicola, adesso serve un test che determini il giusto tempo di sviluppo dal quale dipendono le densità delle luci, cioè le parti più chiare leggibili nella stampa, nel sistema zonale viene chiamata ZONA VIII.
Impostata la fotocamera nella sensibilità pellicola appena stabilita, si fanno vari test sviluppo per ricavare l’esatta ZONA VIII, così da avere il controllo del film su tutta la scala, dalle ombre alle luci.
Si ripeterà l’operazione affinché la stampa di quel fotogramma denominato ZONA VIII, corrisponderà realmente ad un grigio ZONA VIII verificabile con un provino relativo, che viene conservato con cura da ogni fotografo insieme al resto della scala zonale…
Finito il test avremo la perfetta traduzione delle caratteristiche di una determinata pellicola e riusciremo ad ottenere il massimo del risultato ogni qualvolta ci accingiamo ad usarla.
Va sottolineato che il test va ripetuto in caso di variazione dell’ agente di sviluppo e naturalmente su ogni nuova pellicola.
Digerire il mattone del Sistema Zonale ed il test sullo sviluppo pellicola non è certo cosa facile, lo studio di questo genere di fotografia richiede anni di sperimentazione e pratica, una conoscenza che crea le fondamenta del fotografo, ma che attualmente sembra essere sostituita dai LIKE, dal concorso Leica e da PhotoVogue.
Non vi è nulla di più bello e coinvolgente della sperimentazione in fotografia, in qualsiasi direzione e senza preconcetti, la memoria storica non si può seppellire perché rappresenta le fondamenta del sapere in tutti i settori, tuttavia è necessario stare al passo per continuare la lettura del tempo attraverso la contemporaneità.
Articolo e fotografie: Davide Rossi
Immagine di copertina:
fotografia di Davide Rossi, modella Alice Daniele
scattata con fotocamera 35mm, pellicola Kodak Tri-X 320 sovraesposta di 2 STOP e sottosviluppata N-1
Il sistema zonale rimane a tutt’ora un grande mistero per me. Purtroppo non trovo chiaro l’articolo. Ad esempio: “Impostata la fotocamera nella sensibilità pellicola appena stabilita, si fanno vari test sviluppo per ricavare l’esatta ZONA VIII, così da avere il controllo del film su tutta la scala, dalle ombre alle luci”, quali sono questi test? Perchè imposto la fotocamera alla sensibilità relativa al test della zona per fare dei test di sviluppo? Lo sviluppo non lo faccio nella tank?
Perdonami le domande ma sono un pò duro di capoccia.
Ciao Gene,
l’argomento è complesso perché si rischia di fare teorie su altre teorie, andrebbe studiato tenendo con una mano “IL NEGATIVO” di Ansel Adams e con l’altra mano la tank di sviluppo.
L’articolo in sè non voleva approfondire la tecnica nello specifico, ma ben vengano le domande sull’argomento utili a chiarire ogni aspetto che può sembrare critico.
Veniamo al quesito, quali sono i test da eseguire per comprendere il giusto tempo di sviluppo? (ZONA VIII)
Il primo test da fare per comprendere la SENSIBILITA’ REALE di una pellicola, è quello per trovare la zona I operando come descritto, in quanto la sensibilità indicata nella pellicola stessa è, nella maggior parte dei casi, NON CORRETTA.
Ecco che una volta eseguito tutto il test, la sensibilità “ISO” da impostare sulla fotocamera dovrà essere quella appena riscontrata. Da qui si può eseguire il test sulle luci per la cosìdetta ZONA XIII ed avviene nel seguente modo:
– creare una scala completa di tutte le zone dalla 0, nero totale, alla X, bianco senza dettagli (la scala zonale è importante perché è il riferimento visivo di tutta la fase di stampa, per crearla servono alcuni accorgimenti importanti e probabilmente serve anche un intero articolo per descriverla)
– per ogni pellicola che si scatta normalmente, impostata per la sua reale sensibilità, lasciare un fotogramma libero per fare uno scatto in ZONA VIII, che significa fotografare una superficie con luce diffusa e di tonalità omogenea come un muro o un foglio di cartoncino, sovraesponendo di 3 stop rispetto la lettura corretta dell’esposimetro. Indipendentemente dal colore o intensità del soggetto scelto, il risultato darà una ZONA VIII.
– sviluppata la pellicola per le indicazioni del produttore, sarà necessario stampare il fotogramma relativo alla ZONA VIII su una carta di gradazione media (3), il corretto tempo di stampa di questo fotogramma, che può avvenire anche per contatto, si ha nel momento in cui viene superato il velo della pellicola, ovvero appena la presenza della stessa viene annullata e non è più visibile il supporto di triacetato.
– a provino asciutto, prendere la ZONA VIII nella scala delle zone preparata in precedenza, e metterla a confronto con il risultato appena ottenuto. Se il provino dovesse combaciare con la ZONA VIII della scala, cosa difficile, il tempo di sviluppo sarebbe da considerarsi corretto, se il provino dovesse risultare più scuro, il tempo di sviluppo sarebbe da aumentare, se il provino dovesse risultare più chiaro, il tempo di sviluppo andrebbe diminuito. Si procede per gradi e tentativi, con tanta pazienza.
“Perchè imposto la fotocamera alla sensibilità relativa al test della zona per fare dei test di sviluppo? Lo sviluppo non lo faccio nella tank?”
Perché l’impostazione della sensibilità della pellicola influisce anche su tutto il resto ed è necessario definire la SENSIBILITA’ REALE per non commettere errori a cascata.
Chissà se sono riuscito a darti qualche chiarimento, certo con un semplice commento è complicato, vedere la procedura risulterebbe più semplice e magari anche meno costoso in termini di materiali di consumo e tempo impiegato…
Ma resto volentieri a disposizione per ulteriori approfondimenti 😉
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